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La tifoseria granata componente determinante per centrare la salvezza, ma bisogna isolare i cani sciolti dei social che destabilizzano ogni giorno

Dodicesimo uomo o componente paradossalmente dannosa? Spinta che fa vincere le partite contro avversari più forti o pressioni eccessive per chi indossa la maglia granata? L’amletico dilemma si presta a molteplici risposte, ma la premessa è d’obbligo: pensare che il pubblico di Salerno possa essere negativo per la squadra è un autogol. Del resto la storia insegna che al Vestuti non passava quasi nessuno e che all’Arechi si sono inchinate le big del calcio italiano come Lazio, Roma, Inter  e Juventus, senza dimenticare i derby vinti col Napoli, le rimonte incredibili con Vicenza, Cagliari e Benevento, il 4-0 sulla corazzata Genoa e tante altre domeniche in cui il risultato era compromesso ma il ruggito della Sud ribaltò ogni pronostico contribuendo in modo significativo alla rimonta. Da contraltare, però, un dato di fatto inconfutabile: quest’anno la Salernitana ha vinto il suo terzo campionato di B con porte chiuse e spalti totalmente deserti, fatta eccezione per i pochissimi accreditati che, soprattutto nel finale di stagione, hanno accantonato microfoni e taccuini provando a spingere sull’acceleratore e dare un contributo. Indubbiamente scortare il pullman dall’hotel allo stadio, restare all’esterno per tutti e 90 i minuti, “bombardare” di messaggi i calciatori ed esporre striscioni ovunque tra Salerno e provincia ha dato una grossa mano, lo ha ammesso anche Castori che “avvertivamo il calore della gente e abbiamo vinto anche grazie a loro”. Tuttavia nessuno ha dimenticato quel clima irrespirabile che circondava la squadra quando partì alla volta di Sarnano. Teorie deliranti di galleggiamento e freno a mano, pressione sui giocatori in trattativa (con la vicenda Ranieri che fece parlare l’intera Italia pallonara), offese e minacce sulla pagina face book ufficiale della Salernitana, la quotidiana lotta alla multiproprietà e un Castori verbalmente “massacrato” solo per aver indossato un laccetto del Trapani nel giorno del suo primo allenamento. Non osiamo immaginare cosa avrebbero detto gli esperti di tribuna e distinti dopo il primo cross sbagliato di Casasola o quando Di Tacchio ha sbagliato il terzo rigore consecutivo alimentando le tesi folli di quelle pagine anonime ricche di “sfravecatura” e povere di passione granata.

 

Quelle che ogni anno si aggrappavano ad una scusa diversa: in principio fu Soglia, poi Aliberti, poi ancora la palla di pezza, il simbolo di San Matteo, la serie D e il discorso sulla dignità fatto soprattutto da quei ragazzini cresciuti a pane e Delio Rossi, pronti a contestare per 4-5 anni di fila in B ma che, ai tempi del Vestuti, avrebbero imparato davvero cosa voglia dire amare la Salernitana. Per fortuna, in questo marasma generale, c’erano gli ultras della curva Sud Siberiano, i club organizzati e i tanti salernitani trapiantati all’estero o in altre regioni che sono esempio di appartenenza e amore incondizionato. A prescindere da ogni presa di posizione, costoro ci hanno messo sempre la faccia. Passando da San Siro al Comunale di Budoni con la stessa passione, senza mai legare la presenza al colpo di mercato, alla classifica o allo sconto sul prezzo del biglietto. La minoranza rumorosa dei social, quella che ha dato credito alle bufale dei cantastorie, va assolutamente isolata. Perché i tifosi della Salernitana sono quelli che fanno parlare tutta Italia per l’originalità delle scenografie, che organizzano iniziative di beneficenza, che hanno rinviato feste attese per decenni in segno di rispetto per chi soffriva. Salerno e la sua provincia, quando vogliono e sono unite, possono fare la differenza ed essere “il dodicesimo, il tredicesimo e il diciottesimo uomo”, come disse il presidente del Lecce quando i giallorossi furono storditi dalla bolgia dell’Arechi. In A il pubblico determinerà tanto ed è in casa che si dovrà costruire l’impresa chiamata salvezza. Per farlo occorre ritrovare unità, avere la consapevolezza che ci sono le potenzialità per incidere come poche altre tifoserie in Europa. Ricordate il 19 giugno del 2019, quando 50mila persone diedero letteralmente spettacolo accantonando malumori e critiche in segno d’amore per la Bersagliera? Oggi si dovrebbe tornare a quel giorno, con il popolo che si inchinava a Sua Maestà. Si ricreasse il clima dei tempi d’oro, all’Arechi sarebbe difficile per tutti. Uniti si vince, come recita lo striscione esposto nei distinti dal club Mai Sola del presidente Antonio Carmando o come ripetono da anni gli amici del Salerno Club 2010, quelli che hanno ingoiato fango ma che alla lunga si sono tolti tanti sassolini dalle scarpe. Non esistano più gufi e collusi, pro Lotito e anti Lotito, destabilizzatori di professione o osanna tori a prescindere. Conta solo la Salernitana, tutto il resto è contorno ed esibizionismo. Si prenda esempio dalla curva, da chi ha dato la vita per una squadra di calcio. La salvezza è impresa titanica, ma in 12 si può…

Redazione IotifoSalernitana